CAPITOLO
TERZO
1 – Fisiologia
In
questo paragrafo sono esposti alcuni meccanismi fisiologici oculari di
base necessari per una comprensione corretta della refrazione, questi
in modo diretto o indiretto influenzano il diottro oculare e quindi il
risultato funzionale visivo.
1.1 – L’emmetropia
L'occhio
emmetrope, o fisiologico, è l'occhio in cui l'immagine, formata dal
diottro oculare, soddisfa le seguenti due condizioni:
1)
è a fuoco sul piano retinico, quindi non necessita di alcuna
correzione ottica per raggiungere l'acuità visiva considerata
normale;
2)
ad un oggetto puntiforme corrisponde l'immagine puntiforme.
Il
fuoco sulla retina è ottenuto quando tutti i fattori influenzanti la
refrazione hanno determinate caratteristiche, che combinate tra loro
portano il fuoco sulla retina. Dei suddetti fattori, esposti nel
capitolo precedente (curvatura dei mezzi diottrici, indici di
rifrazione, lunghezza del bulbo) basta solo uno modificato
leggermente, se non compensato dalla proporzionale variazione di un
altro, che la condizione fisiologica di emmetropia non si verifica più.
Per
esempio all'aumento dell'indice di rifrazione deve corrispondere una
riduzione di lunghezza del bulbo o una riduzione di curvatura di uno
dei diottri per mantenere l'emmetropia.
Quindi
all'emmetropia non corrisponde una lunghezza fissa del bulbo, o un
indice di rifrazione ideale, oppure una curvatura standard delle
superfici, ma un perfetto equilibrio tra di essi in modo tale che il
potere diottrico complessivo del diottro oculare permetta la messa a
fuoco sulla retina.
Perché
si abbia l'emmetropia è necessario non solo che il fuoco cada sulla
retina ma che esso sia puntiforme, cioè ad un oggetto rappresentato
da un punto corrisponda l'immagine di un punto. Perché avvenga ciò
è necessario che la curvatura delle superfici dei diottri oculari sia
uguale in tutte le direzioni, quindi è necessario che non si crei
alcun diottro cilindrico a cui corrisponda una focalizzazione a
conoide di Sturm e non puntiforme.
In
altri termini la refrazione complessiva del diottro oculare deve
corrispondere ad un diottro sferico e non cilindrico; quindi anche se
in una superficie diottrica è presente una refrazione cilindrica,
deve essere compensata da un'altra superficie cilindrica equivalente
ed ortogonale di un altro diottro, in modo tale che la loro
combinazione formi un diottro sferico.
Per
esempio ad un astigmatismo corneale deve corrispondere un astigmatismo
equivalente e ortogonale cristallinico per conservare l'emmetropia.
Se
il fuoco cade al davanti o al di dietro della retina, o se il fuoco
non è puntiforme, si verifica la condizione patologica di ametropia.
L'emmetropia
non comporta necessariamente un'acuità visiva normale, possono
intervenire situazioni patologiche organiche (delle vie ottiche,
retiniche, vitreali, corneali), alterazioni della trasparenza dei
mezzi rifrattivi, o anomalie di maturazione funzionale (come
l'ambliopia), che non permettono ugualmente il raggiungimento
dell'acuità visiva considerata normale anche in presenza di una
refrazione emmetropica.
Con
il passare degli anni l'occhio emmetrope può perdere la sua
condizione fisiologica e presentare modificazioni, dovute
all'evoluzione delle varie strutture del diottro oculare:
-
variazione della curvatura corneale;
-
aumento di dimensioni del bulbo;
-
cambiamento dell'indice di rifrazione dei mezzi;
-
riduzione della capacità accomodativa;
-
riduzione della trasparenza dei mezzi refrattivi.
I
periodi della vita in cui si possono avere i maggiori cambiamenti
refrattivi sono:
-
i primi anni (tra 0 e 10 anni);
-
la pubertà (tra 12 e 14 anni);
-
la fine della crescita ( tra 20 e 22 anni);
-
l'età media (tra 40 e 50 anni);
-
l'età senile (tra 60 e 70 anni).
Si
può avere un'acuità visiva normale anche in presenza di una
ametropia nel diottro oculare, anche se il fuoco non coincide con il
piano retinico.
In
alcune situazioni refrattive con ametropia viene conservata una
normale funzionalità visiva, questo è dovuto ad alcune condizioni
favorevoli:
-
Ametropie miopiche e astigmatiche lievi (0,25-0,50 D) non determinano
sfuocatura dell'immagine sufficiente a causare un defict visivo;
-
Ametropie Ipermetropiche lievi e medio-lievi (anche fino a 2-3 D) sono
compensate dall'accomodazione nei giovani, dopo i 40-50 anni
comportano un deficit visivo per riduzione della capacità
accomodativa;
-
Ametropie astigmatiche miste possono permettere un buon visus per
coincidenza del cerchio di minore confusione con il piano retinico.
1.2 – La trasparenza dei mezzi
Il vero
rilevatore dell'energia luminosa è la retina, la luce prima di
stimolare i recettori retinici deve passare attraverso alcuni mezzi
trasparenti che determinano un
assorbimento.
Una
piccola percentuale (3-4%) della luce è riflessa dalla cornea,
un’altra parte della luce viene diffusa dallo stroma. La perdita
totale di luminosità attraversando la cornea è di circa il 25%
specialmente per le frequenze elevate. L'acqueo pùò essere
considerato completamente
trasparente per la luce visibile.
Il
cristallino presenta un colore giallognolo, che aumenta con l’età,
quindi assorbe una parte della luce in maniera selettiva, questo
assorbimento è tanto maggiore quanto maggiore è la frequenza.
L'assorbimento
complessivo dei mezzi diottrici dell'occhio è di circa il 30% e varia
con la lunghezza d’onda e con l’età.
1.3 – La pupilla
La
pupilla è simile al foro dei diaframmi nei sistemi ottici; l'iride
che forma questo diaframma per le sue caratteristiche di non essere
attraversata dalla luce è in grado di regolare il diametro pupillare,
in tal modo esercita le sue funzioni ottiche:
1)
regolare la quantità di luce che entra nel diottro.
2)
ridurre le aberrazioni ottiche (aberrazioni sferiche, astigmatismo da
obliqua incidenza), e per la sua posizione all'interno del diottro
agisce non solo sull'immagine reale ma anche su quella virtuale.
3)
regolazione della profondità di fuoco (differenza tra il punto più
lontano e il punto più vicino, che siano visti a fuoco
contemporaneamente).
Queste
due funzioni ottiche dipendono strettamente dal diametro pupillare,
che risulterà minore (miosi) quando aumenta la quantità di luce che
arriva alla retina (riflesso fotomotore) e/o quando si verifica
l'accomodazione
(riflesso
accomodativo), maggiore (midriasi) quando si riduce luminosità
dell'ambiente o quando viene rilasciata completamente l'accomodazione
per mettere a fuoco un'immagine all'infinito. Variazioni del diametro
pupillare
si
possono verificare anche per motivi non ottici, legate a funzioni
fisiologiche, a situazioni patologiche o per farmaci.
La
variazione di diametro pupillare alla luce (riflesso fotomotore) è
involontario; la variazione del diametro pupillare in conseguenza
dell'accomodazione, pur essendo involontario il legame con
l'accomodazione,
può
essere comandata dalla volontà, perché questa regola l'accomodazione
in base alle esigenze di focalizzazione e alla distanza dell'oggetto.
1.4 – L’accomodazione
L'accomodazione
è la capacità del diottro oculare di modificare il suo potere per
mettere a fuoco oggetti a distanze diverse, dall'infinito (punto
remoto) al punto più vicino (punto prossimo).
La
struttura che permette l'accomodazione è il cristallino, che è una
lente in grado di modificare il suo potere diottrico, riducendo o
aumentando il suo spessore per la contrazione o il rilassamento della
zonula.
Questa
contrazione e rilassamento della zonula sono dovute al muscolo
ciliare, composto da tre tipi di fibre:
1)
Fibre circolari (muscolo di Rouget-Müller), ad anello intorno al
cristallino.
2)
Fibre radiali;
3)
Fibre meridionali.
Le
prime contraendosi determinano la riduzione del diametro dell'anello
muscolare e una riduzione della tensione delle fibre zonulari e sul
cristallino con conseguente aumento dello spessore, principalmente a
carico della faccia anteriore con assottigliamento dei bordi, e
aumento del potere refrattivo.
Le
seconde contraendosi determinano un aumento della tensione sulle fibre
zonulari e sul cristallino con conseguente riduzione dello spessore e
riduzione del potere refrattivo.
E'
ignoto l'effetto delle fibre meridionali.
Le
fibre anulari sono innervate dal parasimpatico, mentre quelle radiali
dal simpatico. Dalla distribuzione dell'innervazione è possibile
capire che l'accomodazione è un equilibrio tra i due sistemi
autonomi.
Il
riflesso accomodativo dipende dal seguente meccanismo: un riflesso
retino-ciliare, in risposta a messaggi retinici non a fuoco, aumenta
il potere diottrico del cristallino determinando la contrazione del
muscolo
anulare.
L'arco riflesso simpatico per la contrazione del muscoloe radiale non
è ben noto. Sembra che la partenza del riflesso accomodativo sia
scatenato dalla sfocatura delle immagini e dalla percezione dei cerchi
di
diffusione.
Un'altra
ipotesi sulla causa che scatena il riflesso accomodativo è quella
dell'aberrazione cromatica:
-
aberrazione cromatica con anello periferico blue determinerebbe un
rilasciamento dell'accomodazione;
aberrazione
cromatica con anello periferico rosso stimolerebbe l'accomodazione.
La
capacità accomodativa si modifica con l'età: dalla nascita
diminuisce progressivamente, riducendosi notevolmente negli anziani
fino ad essere insufficiente per la visione da vicino.
1.5 – I meccanismi fotochimici
della visione
Perché
avvenga la percezione visiva è necessario che i raggi luminosi, dopo
essere stati rifratti e messi a fuoco dal diottro oculare, stimolino
una struttura sensibile: la retina.
La
retina deve essere in grado di trasformare con sufficiente precisione
le immagini, riprodotte su di essa dal sistema refrattivo, in
informazioni elettriche, che poi vengono trasmesse alla corteccia
cerebrale dalle vie ottiche.
La
precisione di percezione delle immagini dipende non solo dalle
caratteristiche refrattive del sistema diottrico, ma anche dalla
distribuzione e dalla funzionalità delle cellule recettrici sensibili
alla luce e dalla capacità di trasmissione dell'informazione da parte
delle fibre delle vie ottiche.
Le
cellule recettrici con l'epitelio pigmentato e i neuroni delle vie
ottiche, attraverso reazioni fotochimiche, trasformano lo stimolo
luminoso in stimolo elettro-chimico.
I
fotorecettori sono di due tipi: coni e bastoncelli. I primi sono
localizzati principalmente al centro della macula, man mano che ci si
allontana da questa diminuisce la concentrazione dei coni ed aumenta
quella dei bastoncelli.
La
struttura dei due tipi di recettori è molto simile, cambia solo la
forma dell'articolo esterno, parte del fotorecettore sensibile alla
luce presente nello strato più esterno della retina, che nei coni è
a forma di tronco di cono e nei bastoncelli è a forma di cilindro.
La
reazione chimica di trasformazione dell'impulso luminoso in stimolo
elettro-chimico coinvolge due tipi di sostanze chimiche organiche,
dette pigmenti visivi, la rodopsina e la jodopsina, presenti
nell'articolo esterno dei recettori.
Lo
stimolo nervoso prodotto dal fotorecettore, dopo essere stato
amplificato attraverso sistemi eletro-chimici, viene trasmesso alle
vie ottiche superiori e alla corteccia visiva occipitale (aree 17,18 e
19).
Poiché
tali argomenti esulano dall'ottica fisiopatologica e dalla
fisiopatologia della refrazione, per approfondire ulteriormente
l'ultrastruttura dei fotorecettori, i meccanismi fotochimici e i
sistemi di amplificazione del segnale, rimandiamo a testi specifici.
1.6 – L’acuità visiva
L’acuità
visiva è la capacità che ha l’occhio di riconoscere come separati
due punti dello spazio, posti su uno stesso piano. Per misurare
dell'acuità visiva viene usato il reciproco della distanza angolare
che deve separare i due punti perché essi possano essere visti come
separati, per cui con l’aumentare di questa distanza si riduce
l'acuità visiva.
La
distanza angolare è data dall’angolo formato da due rette
immaginarie passanti ciascuna per uno dei due punti e convergenti nel
centro della pupilla d'entrata dell'occhio, o per approssimazione il
vertice delta cornea.
Perché
sia possibile distinguere due punti è necessario che le immagini
formate dai due punti o del bordo di due oggetti vengano messe a fuoco
su fotorecettori separati da un altro fotorecettore eccitato
differentemente e che lo stimolo trasmesso attraverso le vie ottiche
resti indipendente da altri stimoli (Figura 3.1). Quindi teoricamente
l'acuità visiva massima è il reciproco della grandezza angolare di
un fotorecettore. Il massimo dell'acuità visiva è a livello della
fovea, perché troviamo la massima concentrazione di fotorecettori e
ogni fotorecettore si collega con una ganglionare mantenendo la sua
identità anche a livelli superiori delle vie ottiche.
Esamineremo
la differenza di acuità visiva tra punti più luminosi dello sfondo e
punti meno luminosi dello sfondo:
la
percezione di due punti più luminosi dello schermo è possibile se
sono separati da una distanza angolare di almeno 40”, per luce
monocromatica di 580-600 nm.
la
percezione di due punti neri su uno schermo chiaro è possibile se
sono separati da una distanza angolare di almeno 30”.
La
percezione separata di mire più chiare o più scure dello sfondo
dipende molto vari fattori:
-
forma della mira,
-
dimensioni della mira,
-
colore della mira,
-
luminosità della mira,
-
luminosità dello sfondo,
-
contrasto con lo sfondo,
-
adattamento dell’occhio alla luce,
-
numero di mire presentate.
Con
il variare di questi fattori la distanza angolare minima delle mire può
variare tra 30” e 3’.
Il
riconoscimento della forma di una mira dipende dalle caratteristiche
geometriche della stessa, il lato o il diametro deve essere circa 6
volte la larghezza di una mira lineare che è percepita in quelle
condizioni di luminosità.
Per
mire geometriche molto numerose è necessario tenere conto di
variazioni individuali legate anche a problemi psicologici, che non
vengono esposti in questo capitolo.
Per
la variabilità dell’acuità visiva in base alla forma della mira,
sono stati fatti numerosi tentativi da più Autori per realizzare le
mire ideali necessarie per una corretta e precisa misurazione
dell’acuità visiva. L’insieme di test, con mire di
caratteristiche varie necessari alla suddetta misurazione, è detto
OTTOTIPO (dal greco: optikós = visivo, ottico; -typos = matrice,
modello), esposto nel capitolo della semeiotica.
L’acuità
visiva è influenzata da numerosi fattori.
Fattori ottico-geometrici
La
presenza di ametropie (vizi di refrazione), anche se corrette riduce
l’acuità visiva per
riduzione del contrasto e variazione della grandezza dell’immagine.
Diametro pupillare
Il
diametro pupillare influenza notevolmente l’acuità visiva per i
seguenti motivi:
-
modifica la quantità di luce che penetra nell’occhio;
-
regola la profondità di fuoco;
-
influenza
l’entità della diffrazione della luce.
In
condizioni di luminanza elevata l’acuità visiva aumenta con
diametri pupillari maggiori fino a 6 mm poi si riduce, mentre a
luminanze basse l’acuità visiva migliore si ha con pupilla di 3 mm.
Contrasto e illuminazione di fondo
L’acuità
visiva è legata al contrasto e all’illuminazione di fondo in modo
diretto, per cui con l’aumento di questi fattori aumenta anche
l’acuità, entro certi valori di luminanza.
Adattamento dell’occhio
L’acuità
visiva centrale dipende dai coni della fovea, per cui è massima in
adattamento fotopico (condizione di massima efficienza dei coni) e
minima in adattamento scotopico (condizioni di minima efficienza dei
coni e massima dei bastoncelli). Per l’acuità visiva periferica
avviene il contrario, sarà massima in condizioni scotopiche perché
vengono stimolati solo i recettori periferici, rappresentati
esclusivamente dai bastoncelli (massimo si sensibilità in condizioni
scotopiche).
Sede di stimolazione retinica
L’acuità
visiva è direttamente proporzionale alla concentrazione dei
recettori: se l’immagine retinica cade in una zona di retina con
massima concentrazione dei fotorecettori si avrà anche l’acuità
visiva massima, invece se stimola un’area con bassa concentrazione
dei recettori, sarà bassa.
Durata dello stimolo
Esposizioni
della mira inferiori a 0,7 sec. sono direttamente proporzionali
all’acuità visiva; per durate superiori resta costante.
Età del soggetto
Nei
primi anni di età la capacità visiva è inferiore alla norma per una
incompleta maturazione del sistema visivo, in età senile si riduce
per comparsa di opacità dei mezzi diottrici e di patologie.
Presenza di opacità nei mezzi
rifrangenti
l’eventuale
presenza di opacità corneali, dell’acqueo, del cristalllino o del
vitreo modificano direttamente le capacità rifrattive del diottro,
riducono la quantità di luce che penetra nell’occhio ed agiscono
come ostacolo fisico alla percezione dell’immagine.
Presenza di patologie retiniche e
delle vie ottiche
È
evidente che la presenza di patologie retiniche e/o delle vie ottiche
possa determinare una riduzione dell’acuità visiva: riduzione del
numero dei recettori, presenza di aree di retina prive di recettori,
presenza di ostacoli pre- e intraretinici (emorragie, essudati),
deformazioni retiniche, alterazione e/o riduzione delle fibre di
trasmissione dello stimolo, lesione delle aree corticali specifiche,
alterazioni di sviluppo funzionali come l’ambliopia.
Fattori psicologici
I
fattori psicologici sono molto importanti nel determinare una buona
acuità visiva; alcune situazioni possono ridurre la capacità visiva
e alterare i metodi di rilevazione della stessa:
-
ridotta attenzione;
-
ridotta volontà del soggetto di riconoscere mire che
presentano una certa difficoltà;
-
stato di depressione;
-
nevrosi d’ansia;
-
situazioni che spingono il paziente alla simulazione;
-
sfiducia nell’esaminatore;
-
condizioni che spingono il paziente ad ottenere una terapia dal
sanitario;
-
concomitanza di patologie extraoculari che comportino uno stato
di sofferenza.
Altre
condizioni, spesso opposte alle precedenti, possono moderatamente
incrementare l’acuità visiva.
Fattori culturali
L’analfabetismo
è certamente un grande ostacolo alla determinazione di un visus
reale, per le difficoltà pratiche nell’uso degli ottotipi. Inoltre
un soggetto con cultura ridotta spesso presenta anche una reale
riduzione delle capacità visive, sia per il ridotto sviluppo di tutto
l’apparato visivo, sia per le ridotte capacità centrali di
elaborazione dell’immagine.
1.7 – Profondità di fuoco
L’immagine non a fuoco
sulla retina è percepita sfuocata per la formazione dei cerchi di
diffusione, questi aumentano con l’aumentare della distanza del
fuoco dalla retina. È possibile riconoscere un oggetto anche se
sfuocato, se i cerchi di diffusione non siano troppo grandi. Le
dimensioni di questi cerchi dipendono dalla grandezza dell’oggetto,
dalla distanza di osservazione e dal diametro della pupilla. A parità
di dimensioni dell’oggetto e distanza, la grandezza dei cerchi di
diffusione è direttamente proporzionale al diametro pupillare.
Senza
modificare la distanza e le dimensioni dell’oggetto è possibile
ottenere il riconoscimento di un oggetto riducendo il diametro
pupillare. Anche le forti illuminazioni, che determinano un
restringimento della pupilla, migliorano il visus con questo
meccanismo.
Per
lo stesso motivo gli ametropi stringono le palpebre, così realizzano
un diaframma palpebrale più stretto, per vedete meglio.
La
distanza che separa i due punti estremi, che limitano anteriormente e
posteriormente la zona dello spazio in cui si può trovare un oggetto
riconoscibile senza modificare il fuoco del diottro, si chiama PROFONDITA’
DI CAMPO. Questo valore può essere misurato centimetri.
Trasformando la profondità di campo in diottrie si ottiene la PROFONDITA’ DI FUOCO:
PF = 1/PC
PC = profondità di campo
PF = profondità di fuoco
Esempio:
una profondità di campo di 25 cm (0,25 m)corrisponde ad una profondità
di fuoco di:
PF = 1/0,25 = 4 D
Questo
profondità di fuoco indica il valore in diottrie che il diottro
oculare può non accomodare, conservando la capacità di riconoscere
l’oggetto. Oggetti più grandi determinano una profondità di campo
maggiore rispetto a quelli più piccoli.
L'importanza
della profondità di fuoco si nota particolarmente nella visione da
vicino, si verifica una miosi che si associa all'accomodazione e alla
convergenza. L'occhio nella visione da vicino non è mai perfettamente
a fuoco per la distanza a cui si trova l'oggetto da osservare, con la
profondità di fuoco è possibile riconoscere ugualmente l’oggetto o
leggere. Spesso è possibile una corretta visione da vicino anche con
una carenza accomodativa di mezza diottria.
1.8 – Il contrasto
Il
contrasto è la differenza di luminosità fra due oggetti vicini; il
contrasto ci permette il riconoscimento di due oggetti quando
l’immagine di uno è compresa dentro quella dell’altro.
La
più piccola differenza di luminosità che permette il riconoscimento
di una mira o un oggetto è detta soglia di contrasto. Il contrasto
rientra nella psicofisica della sensazione visiva che verrà esposta
nei prossimi capitoli. Sono state realizzate anche tavole per valutare
la sensibilità al contrasto, più sensibili degli ottotipi, per la
misurazione dell’acuità visiva, nel valutare le piccole variazioni
di funzionalità della funzione visiva.
1.9 – La visione binoculare
La
visione binoculare
Nell'esame
della funzione visiva è necessario tenere presente che viene
espletata attraverso due sistemi diottrici oculari e la percezione di
due immagini attraverso i due occhi, questa visione viene detta
binoculare.
La
visione binoculare presenta molti vantaggi rispetto a quella
monoculare:
-
campo visivo più ampio;
-
possibilità di fusione delle due immagini a livello centrale;
-
percezione della profondità (visione stereoscopica;
-
coordinazione dei muscoli estrinseci.
Affinché
la visione binoculare presenti i suddetti vantaggi e non provochi
diplopia (due immagini percepite separatamente) è necessario che
abbia una fusione delle due immagini a livello corticale e che
realizzi una VISIONE BINOCULARE SINGOLA.
In
condizioni patologiche le due immagini vengono percepite correttamente
ma non vengono fuse e percepite come immagine singola, questo si
verifica nelle seguenti situazioni:
-
nello strabismo con soppressione, le due immagini vengono
percepite normalmente dai due occhi, ma una viene soppressa a livello
corticale, cioè non "considerata";
-
nello strabismo o nelle paralisi dei muscoli estrinseci, le due
immagini vengono percepite normalmente dai due occhi e percepite
entrambe in modo da provocare una diplopia.
Perché
si verifichi una visione binoculare è necessaria una corretta
localizzazione spaziale da parte della retina e quindi una
corrispondenza trai punti delle retine dei due occhi.
L'acutezza
visiva in binoculare è in genere maggiore, tuttavia in alcune
situazioni patologiche della motilità oculare può risultare ridotta.
Si
consiglia la consultazione di testi sullo strabismo per un maggiore
approfondimento della visione binoculare.
1.10 – La convergenza
I
movimenti di vergenza determinano l'allineamento degli occhi in modo
da assicurare la visione binoculare; questi sono movimenti disgiunti
degli occhi, cioè movimenti degli occhi in direzione opposta, o anche
fusionali, cioè necessari per una fusione delle immagini.
I
movimenti di vergenza orizzontali sono la divergenza, movimento degli
occhi dall'interno verso l'esterno per mantenere la fissazione verso
in punto remoto, e la convergenza per mantenere la fissazione e la
visione binoculare verso il punto prossimo. Quest'ultimo movimento di
vergenza è molto importante per lo studio delle refrazione in visione
binoculare.
La
convergenza provoca un'adduzione sincrona e simultanea dei due occhi,
determinando una posizione convergente degli assi visivi. Se l'oggetto
fissato è posto nel piano mediano si realizza una convergenza
simmetrica, cioè si formano angoli uguali fra ciascun asse visivo e
la linea
perpendicolarmente
al centro di rotazione degli occhi. La convergenza asimmetrica, con angoli diversi, si ha se il punto di
fissazione si trova a destra o a sinistra del piano mediano.
Il
punto prossimo è il punto più vicino su cui gli occhi possono
convergere; questo è a circa 10 cm ed è più vicino del punto
prossimo di accomodazione e non si modifica con l'età.
L'angolo
metrico è l'unità di misura della convergenza, esso è l'inverso
della distanza di fissazione espressa in metri (Figura 3.2):
Am
= angolo metrico
Am = 1/d
d = distanza di fissazione
L'angolo
metrico è anche la quantità di convergenza necessaria:
se
la distanza di fissazione è 1 m, è necessaria la convergenza di 1 D
se
la distanza di fissazione è 2 m, è necessaria la convergenza di 1/2
D
In
genere esiste una correlazione tra l'unità di misura della
convergenza e quella dell'accomodazione.
Anche
se l'angolo metrico non varia tra individuo e individuo, la quantità
reale di convergenza è indirettamente proporzionale alla distanza
interoculare (dal punto di vista pratico è sufficiente usare la
distanza interpupillare).
Comunemente
viene usata la diottria prismatica per misurare le vergenze. Quindi
l'angolo di convergenza simmetrica è dato da:
C = angolo di convergenza
in diottrie prismatiche
C = Am * di =
1/d * di
* 100
di = distanza interoculare (in metri)
Esempio
Con
distanza di fissazione di 2
m e la distanza
interoculare do 6 cm abbiamo il seguente angolo di convergenza in
diottrie prismatiche:
C = 1 / 2 *
0,06 * 100 =
3 D
La
convergenza è un riflesso, tuttavia può essere anche volontaria, cioè
senza uno stimolo esterno.
Possiamo
distinguere quattro tipi di convergenza:
Convergenza tonica.
Questo
tipo di convergenza è quella necessaria
a portare gli occhi da dalla posizione anatomica in divergenza
alla posizione fisiologica di riposo.
Questa convergenza è determinata dal tono dei muscoli
extraoculari.
Convergenza accomodativa
La
convergenza accomodativa è quella evocata contemporaneamente
all’accomodazione, per cui viene anche considerato il rapporto tra
ile due, indicato AC/A.
Questo
rapporto ha molta importanza nella
visione binoculare in caso di fissazione per vicino e nello studio
dello strabismo concomitante.
Convergenza fusionale.
Con
la convergenza accomodativa si ottengono variazioni grossolane della
posizione degli occhi, mentre con quella fusionale è possibile
raggiungere la fusione binoculare
La
convergenza fusionale è simile agli movimenti fusionali, è
involontaria ed è stimolata dalla disparità delle immagini
retiniche.
Convergenza prossimale.
La
convergenza prossimale è indotta dalla consapevolezza della vicinanza
effettiva di un oggetto o dalla posizione
vicina di un oggetto, anche se posto otticamente
all’infinito.
1.11 – L’evoluzione
dell’occhio
La
lunghezza del bulbo si modifica con l’età da circa 17 mm alla
nascita a circa 22-24 mm dopo
l'adolescenza. L’allungamento del bulbo è accompagnato da una
diminuzione del potere refrattivo del diottro oculare per
modificazione dei seguenti caratteri fisici:
-
appiattimento delle superfici della cornea e del cristallino,
in tal modo il potere refrattivo della cornea passa da 52 D alla nascita
a 43 D a 2-3 anni di età;
-
aumento di profondità della camera anteriore.
Alla
nascita e nei primi anni di vita si osserva una ipermetropia
fisiologica, che può arrivare anche a 4-5 D, che si riduce
progressivamente con gli anni per
la diminuzione di potere del diottro oculare. Questa riduzione
non solo controbilancia l’allungamento del bulbo ma è eccessiva,
per cui dopo gli 8-9 anni l’allungamento non è più compensato da
una corrispondente variazione del potere refrattivo, di conseguenza si
ha una riduzione dell’ipermetropia e a volte l’insorgenza di una
miopia.
Alla
fine dell’allungamento del bulbo, ogni variazione della refrazione
del diottro oculare è dovuta a modificazioni del potere del
cristallino. In età senile si verifica un aumento dell’indice di
rifrazione del cristallino, per l’insorgenza di una cataratta
nucleare, con insorgenza di una miopia d’indice.
I
periodi dela vita in cui si possono avere i maggiori cambiamenti
refrattivi sono:
-
i primi anni di vita (tra 0 e 10 anni);
-
la pubertà (tra 12 e 14 anni);
-
la fine della crescita ( tra 20 e 22 anni);
-
l'età media (tra
40 e 50 anni);
-
l'età senile (tra 60 e 70 anni).
|